Ad ovest procedono i lavori per la realizzazione della linea TAV tra Torino e Lione, con ultimazione prevista nel 2033 e proteste anche violente, con bombe carta e scontri con la polizia da parte dei cosiddetti No Tav, ma anche casi paradossali come quello della professoressa Nicoletta Dosio, che a 78 anni, dopo aver scontato mesi di carcere e arresti domiciliari, ha ricevuto lo scorso giugno un’altra diffida e secondo la giustizia italiana deve scontare altri mesi ai domiciliari con l’accusa di “violenza contro pubblico ufficiale e devastazione” per aver partecipato a una manifestazione, sulla carta pacifica, contro la TAV. Sul versante Est stanno per entrare nel vivo i lavori della linea Brescia-Padova, che fa parte della linea AV/AC Torino-Milano-Venezia. Si continua a chiamarla alta velocità, ma nel frattempo la sua velocità massima, 220 km/h, è stata surclassata: i veri treni ad alta velocità oggi infatti viaggiano a 250 Km/h. Secondo Rfi e Confindustria si tratta di un’opera fondamentale che garantirà treni veloci al 75% della popolazione del Nord Est e 4 mila posti di lavoro. Questa linea dovrà passare anche per la città di Vicenza, e lo farà, tra le tre ipotesi sulla carta ad inizio progetto, nella maniera più impattante per il territorio.
Ci saranno infatti 20 cantieri in città, verranno abbattute case, un centro sociale, un albergo cittadino che ospita i senza tetto, bar, ristoranti, cavalcavia e circa 30 mila metri quadri di aree verdi. Su queste due aree verdi, che sono i boschi di Ca’ Alte e il bosco cosiddetto Lanerossi, si è concentrata negli ultimi mesi la resistenza del centro sociale vicentino Bocciodromo, che prende il nome dal dopo lavoro ferroviario, ma anche di associazioni quali Fridays for Future, Legambiente, un comitato di residenti del quartiere, Italia Nostra, Civiltà del verde. Dal 3 maggio infatti i due boschi sono stati “occupati”: sono state costruite casette sugli alberi, simbolo della resistenza contro le ruspe che dovevano arrivare e non sono arrivate, simbolo anche, più ampio, di un modo diverso di pensare la città, mentre nel frattempo l’ex fabbrica della Pettinatura Lanerossi, dal cui giardino abbandonato è nato il bosco, è stata comprata da una società di Milano che probabilmente ne farà appartamenti, forse, chissà, di lusso, come sono stati fatti a Borgo Berga, a sud di Vicenza, su una collina, dalle ceneri di un’altra fabbrica, la Cotorossi. La storia e la ricchezza industriale di Vicenza pesano sulla città stessa, famosa per un architetto di fama e valore artistico e storico universale quale il Palladio, ma sventrata una volta nell’800 e un’altra volta negli anni Venti del Duemila, in entrambi i casi per far passare una ferrovia. Vero, la città è piccola. C’erano alternative? Far passare i treni sotto le colline, o sottoterra. L’occupazione dei boschi però è stata l’occasione per far vedere ai vicentini che cosa avevano in casa: due boschi, uno di circa 16 mila metri quadri, l’altro circa di 14, abitati da tassi, caprioli, uccelli e, nel caso del bosco Lanerossi, 80 specie diverse di piante. Tra queste un albero proveniente dal continente americano, il Liquidambar, che potrebbe essere un esemplare unico in Europa per il modo in cui ha interagito con l’ambiente circostante sviluppandosi in una maniera unica. Insomma, questo bosco potrebbe essere un orto botanico, donato alla città e alla ricerca.
E a dirlo non sono i riottosi militanti del centro sociale, ma professori, esperti, financo preti e frati. Che poi Vicenza sia tra le città più inquinate d’Europa e che 30 mila metri quadri di alberi facciano bene ai polmoni dei cittadini, anche contro le alte temperature e le piogge torrenziali, sono dati abbastanza inequivocabili. Se il bosco di Ca’ Alte, in via Maganza, è spacciato, e, anche se è stato proposto di costruire un orto sociale e arnie per le api, ci passerà la ferrovia e poi diventerà un giardino, con una ripiantumazione artificiale, quello dell’ex fabbrica potrebbe essere salvato dall’albero centenario, che ha le caratteristiche per essere considerato monumentale e quindi, in base a una legge del 2013, non abbattibile. Il Comune di Vicenza ha passato le carte alla Regione, che le passerà al ministero dell’Ambiente, e con un albero monumentale Iricav Due, General Contractor a cui è affidata la progettazione e la realizzazione della nuova linea ferroviaria ad alta capacità veloce Verona-Padova, consorzio costituito per l’83% dal Gruppo Webuild e per il 17% da Hitachi Rail STS, con committente Rete Ferroviaria Italiana – RFI (Gruppo FS Italiane), dovrà ridimensionare il suo cantiere, che nel progetto è grande 12 mila metri quadrati, mentre altri 4 mila saranno occupati da strade e altre opere che restano. Il cantiere, uno dei più grandi e importanti a livello logistico per la realizzazione della linea ferroviaria nel settore Ovest della città, sarà ridotto per salvare un pezzo di bosco attorno all’albero monumentale, ma quello che chiedono gli attivisti e le associazioni è di rivedere il progetto e rinunciare del tutto al cantiere, per salvare l’intero bosco. Nel frattempo si attende l’esito del ricorso al Tar presentato da Italia Nostra, atteso per metà luglio.
L’associazione chiede di annullare il progetto definitivo perché manca un progetto per la parte Est e inoltre non sarebbero stati rispettati molti vincoli paesaggistici e storico-culturali. La giunta comunale di Vicenza, di centrosinistra, è favorevole alla TAV e sostiene di fare tutto il possibile per la salute dei cittadini e la tutela del territorio. L’area del bosco è un’area privata, abbandonata per 30 anni, che, tra 10-15 o 20 anni, al completamento dei lavori, sarà donata da Iricav, dopo una ripiantumazione, al Comune. Dal punto di vista legale quindi il Comune ha la possibilità di avere in mano un parco pubblico, al posto di una zona abbandonata e terra di nessuno. Ma, per quanto utopistico, se venisse riconosciuto il valore di questa zona ed essa fosse comunque, a prescindere dalla TAV, regalata alla città, mantenendo il bosco così com’è, avremmo per una volta non un compromesso, bensì una scelta politica precisa: preferire il verde al cemento. La compensazione proposta da Iricav, cioè piantare sette piante per ogni albero abbattuto, più una donazione, già arrivata in Regione, di poco più di 100 mila euro per altre piantumazioni, non convince le associazioni, perché un bosco naturale è più produttivo ed efficace rispetto a un giardino, che comunque vedrà la luce tra molti anni. Nel frattempo gli ambientalisti sono preoccupati per i livelli di polveri sottili, di Pfas nelle acque, per le alluvioni e per l’impatto sociale. Anche a Bologna e in Germania ci sono stati scontri nei giorni scorsi tra ambientalisti e polizia contro l’abbattimento di alberi. Si tratta quindi di un tema globale (nel 2024 abbiamo ancora così bisogno di progresso da dover abbattere gli alberi?) che a Vicenza diventa politico. Il PD infatti vuole la TAV, il progetto preliminare a Vicenza è partito nel 2014 durante il secondo mandato consecutivo (terzo totale) di Achille Variati, che è stato anche sottosegretario all’Interno, e che era sindaco anche nel 2013, quando venne inaugurata la caserma americana Del Din. In quell’occasione sorse un grande movimento dal basso e ci fu anche una drammatica rottura nel centrosinistra, con Rifondazione Comunista, che di recente ha pianto la scomparsa di un suo storico militante, il vicentino Arnaldo Cestaro, che contro le grandi opere si è battuto a partire dall’autostrada Valdastico Sud, che manifestava contro il governo Prodi, che nel 2007 diede il sì definitivo alla realizzazione della base, pur facendone parte. Lo stesso Prodi di recente ha minimizzato la battaglia di Rifondazione, attivisti, comitati cittadini, definendo quella del Dal Molin una “piccola questione urbanistica”.
E proprio qui sta il problema: la destra è unita nel non vedere i problemi legati alla base (allagamenti, allarmi terroristici, falde acquifere compromesse) e ne vede solo i vantaggi economici, così come minimizza l’impatto ambientale della TAV, perché porterà soldi. E siccome la destra italiana è composta da persone che, pur offendendosi nel venire chiamate fascisti, allo stesso tempo non si dichiarano mai antifascisti e anzi, si vantano di avere in casa busti del Duce oppure, come Elena Donazzan, partecipano alla commemorazione dei morti nazisti o cantano Faccetta nera in radio, la sinistra, per non far vincere i fascisti, deve ingoiare il rospo. La sinistra cosiddetta radicale non deve rompere le scatole e deve accettare i compromessi del PD, per non far vincere la destra. Il PD dal canto suo si dichiara ambientalista a parole, si fa appoggiare da Alleanza Sinistra e Verdi, ma poi, a conti fatti, non prende decisioni nette in materia ambientale.
A Vicenza, del resto, la concessione per realizzare il centro sociale Bocciodromo nell’ex dopolavoro ferroviario abbandonato è stata data proprio dal PD, mentre il centrodestra non vede l’ora che il centro sociale chiuda e, in futuro, potrebbe essere proprio il PD ad individuare un nuovo spazio per un nuovo centro sociale. L’alternativa è rifiutare i compromessi ed occupare, saltando nel campo dell’illegalità (come hanno fatto quelli che hanno distrutto l’ex Popolare di Vicenza), avendo però almeno dato la possibilità ai cittadini di vedere a cosa dovranno rinunciare e chiedersi se ne varrà la pena. Se, cioè, i benefici portati dalla TAV, saranno maggiori rispetto ai disagi. Il fatto è che il problema non si è nemmeno posto all’inizio e la risposta ce l’avremo forse tra una ventina d’anni.
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